In Danimarca la società Evefuel che nel 2020 aveva fatto propri i diritti per aprire i primi distributori di idrogeno ha annunciato che non solo non realizzerà la rete prevista ma chiuderà anche i punti di rifornimento oggi attivi. Ciò per tre motivi. Il mercato stagnante del settore auto, il numero dei rifornimenti pressoché nullo e i margini irrisori indotti dalle poche vendite. Non va meglio per Volkswagen. Ha annunciato un pesante taglio dei posti di lavoro nella fabbrica di auto elettriche di Zwickau, in Germania. Per ora sono 269 le maestranze che andranno a casa, che potrebbero diventare qualche migliaio nei prossimi mesi. Ciò ancora una volta a causa della scarsità delle richieste di auto elettriche da parte del mercato a seguito delle fine dei sussidi statali alle vendite. Ci hanno messo però del loro però anche la decentralizzazione della produzione dei modelli destinati al mercato statunitense, prodotti a Chattanooga, nel Tennessee, e l’arrivo sul mercato di modelli cinesi offerti a prezzi inferiori a quelli europei. Sempre in Germania il gruppo Luhmann, specializzato nella commercializzazione di carburanti sintetici, ha denunciato l’Unione Europea per lo stop alla produzione dei motori termici prevista nel 2035 accusando l’Unione stessa di falsità ideologica nel considerare le emissioni dei veicoli basandosi solo sui valori misurati allo scarico e non sull’intero ciclo di vita. Nella denuncia si richiede una revisione delle normative considerando il contributo che possono dare i carburanti sintetici alla lotta al cambiamento.
E come non ricordare il governo ambientalista olandese del premier Rutte che è riuscito a scatenare nei mesi scorsi una vera e propria guerriglia urbana proponendo la chiusura di un’ampia parte degli allevamenti olandesi per tagliare le emissioni di ossidi di azoto. Quelli sopracitati sono solo alcuni degli esempi che evidenziano in concreto gli effetti nefasti del programma di transizione energetica avanzato dall’Unione Europea senza tener conto della sua sostenibilità economica e senza pensare alla salvaguardia della produttività delle aziende. Un programma talmente irreale da far ipotizzare perfino l’idea che ci possa essere della malafede nelle iniziative europeiste di transizione, la volontà di stroncare importanti ambiti economici continentale a favore di analoghi ambiti esteri. Il caso Panzeri-Kaili dimostra che in fondo corrompere deputati ed ex-deputati non è poi così difficile.
Senza arrivare a tali eccessi è comunque vero che la transizione energetica europea sta provocando seri danni, tesi che però se sostenuta dall’uomo della strada viene subito contestata dall’ambientalismo radical chic e tacciata di populismo disfattista e fine a stesso. La stessa accusa però non può essere sostenuta se la tesi di cui sopra è avanzata dal vicepresidente di S&P Global, Daniel Howard Yergin, economista ed esperto di geopolitica dell’energia nonché Premio Pulitzer nel 1992 con il libro “The Prize: the Epic Quest for Oil, Money, and Power”. Nel corso di un’intervista rilasciata lo scorso Settembre e pubblicata sul Corriere della Sera, il Daniel H. Yergin ha in effetti alzato i veli su una scomoda realtà per il governo di Bruxelles, soprattutto dopo che gli Stati Uniti hanno deliberato l’Inflaction Reduction Act, un pacchetto da 739 miliardi di dollari atti a incentivare lo sviluppo industriale. Obiettivo primo quello di mitigare la predominanza della Cina quale primo fornitore di batterie e pannelli solari per dar luogo a produzioni energetiche totalmente made in usa che però non impediscano lo sviluppo e il mantenimento di impianti energetici tradizionali, ivi compresi quelli nucleari. Parlando della situazione globale e delle politiche europee il punto di vista di Daniel H. Yergin è chiaro.
L’obiettivo “net zero” cui ambiscono i Paesi occidentali potrebbe essere raggiunto solo ristrutturando in soli 25 anni l’intera economica mondiale imponendo al resto del Mondo metodi e tempistiche che oggi non sono affatto condivise. Al di là delle ideologie inoltre sono concrete le difficoltà economiche, politiche e sociali che l’Occidente si trova a dover affrontare con il tema della sicurezza energetica che rappresenta uno degli aspetti critici fondamentali del programma. Basterebbe quello per dar luogo a una presa di coscienza circa le effettive possibilità di portare avanti il processo. L’epidemia di Covid prima e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia hanno inoltre interrotto i principi di globalizzazione che hanno guidato il Mondo nel ventennio precedente e in tale contesto è difficile sostenere una transizione energetica per economie a corto di materie prime e risorse energetiche come risultano essere buona parte dei Paesi europei. Le scelte di Bruxelles tese a imporre restrizioni al settore industriale e produttivo indotte da esigenze di sostenibilità sta poi facendo perdere di competitività alle aziende rendendo difficile alle imprese la possibilità di seguire strategie di ricerca e sviluppo tese al primo obiettivo perseguito da qualsiasi azienda: generare profitti per crescere e svilupparsi. Sul fronte delle risorse energetiche Daniel H. Yergin ha sottolineato come il 2023 si chiuderà quale l’anno in cui l’uomo ha maggiormente consumato petrolio e relativi prodotti.
Questo grazie anche al contributo delle economie di Paesi in via di sviluppo il cui ultimo pensiero è la sostenibilità ambientale. Ma anche grazie a colossi come Cina e India i cui obiettivi net zero sono previsti, forse, tra 50 anni se non di più. Petrolio e gas rimarranno quindi fonti energetiche centrali nei prossimi anni, con gli Stati Uniti che già oggi sono uno dei maggiori estrattori di entrambi e non intendono certo smettere di farlo e la maggior parte dei Paesi europei che invece petrolio e gas devono acquistarlo da terzi ritrovandosi quindi in una continua posizione perdente continuando a puntare solo sulle produzioni di energie rinnovabili anziché su uno sfruttamento equilibrato e razionale dei pochi giacimenti disponibili. Un esempio in tal senso l’Italia dove, complici politiche ambientaliste suicide che nel nome della sostenibilità hanno portato a proibire le estrazioni di gas naturale anche là dove invece già estraggono i Paesi limitrofi.
Scomode conclusioni
Quanto sopra senza dimenticare che per Yergin anche il settore minerario sta ritornando a essere fondamentale nella geopolitica globale e anche in questo caso l’Europa si troverà ancora nella condizione di dover importare risorse e materiali. Altro errore la chiusura degli impianti nucleari. Soprattutto la Germania, secondo il Vicepresidente di S&P Global, ha commesso un grosso errore a chiudere gli impianti all’improvviso rendendosi dipendente dal gas russo. Il nucleare rimane la più ampia fonte energetica a emissioni di carbonio zero e gli Stati Uniti stanno portando avanti almeno 60 progetti di ricerca sul nucleare di nuova generazione che sarà fondamentale proprio per la transizione energetica. E qui c’è la contraddizione finale di un processo che oltre a essere irreale sta rendendo l’Europa sempre più dipendente dalla Cina, trend che da solo giustifica le tesi di quanti vedono nella transizione energetica una sorta di Cavalli di Troia ben congegnato dal Celeste Impero per dar luogo alle sue mire egemonico-industriali . Sul fronte delle forniture di batterie, pannelli solari e componentistica oggi il Paese asiatico gioca in effetti un ruolo predominante nel Mondo, tant’è che secondo Ember, organizzazione londinese di studio ambientale, nella prima metà del 2023 le esportazioni di pannelli solari dalla Cina sono aumentate del 34 per cento con 114 gigawatt di potenza esportati in tutto il Mondo. Ad oggi la Cina copre l’80 per cento delle esportazioni e più della metà delle esportazioni sono dirette in Europa seguita da Brasile, Africa e Medio Oriente. Il quadro delineato in conclusione è che l’Europa si ritroverà stretta tra una competitività industriale sempre più debole e una dipendenza esterna per quanto riguarda energia e materie prime che potrebbe vanificare il raggiungimento dell’obiettivo net zero. Senza escludere la possibilità, ma questo lo ipotizza Macchine Motori, che i problemi economici e produttivi non diano luogo a problemi sociali di entità tale da far perdere all’Unione stessa la propria identità.
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Titolo: Scomode conclusioni
Autore: Jacopo Oldani