L’atmosfera è inquinabile in vari modi, non solo in termini di gas serra. Gli Anni 60, per esempio, furono quelli in cui le normative internazionali affrontarono il tema delle piogge acide, derivanti da una reazione chimica che abbina il vapore acqueo atmosferico con l’anidride solforosa e gli ossidi d’azoto generando acido solforico e nitrico. Gli effetti corrosivi di tale composto furono annotati già nel 1667 da John Evelyn, scrittore britannico che collegò l’acidità dell’acqua piovana con il progressivo degrado cui andavano incontro le statue di marmo in alcune città inglesi.
Ciò in quanto il marmo è composto da carbonato di calcio che si scioglie se a contatto con soluzioni acidificate. Complice il boom economico indotto dalla Rivoluzione Industriale nessuno rilanciò gli allarmi di John Evelyn e per decenni si continuarono a usare carbone e combustibili fossili per muovere l’economia, con i secondi che nel tempo diventarono poi fautori di una vera e propria impennata emissiva degli ossidi di zolfo. Molto contribuì al fenomeno il traffico automobilistico, tanto che a metà degli Anni 60 divenne obbligatoria per Legge la rimozione dello zolfo durante la distillazione del petrolio, contenuto che a oggi è permesso solo in misura di dieci milligrammi per chilo, una parte su centomila.
A tale limitazione se ne affiancarono poi altre relative ad altri inquinanti, processo peraltro ancora in auge ma che non ha sempre trovato eco in settori produttivi diversi dai trasporti. Un esempio in tal senso il traffico marittimo, ambito che ha visto i suoi carburanti continuato a contenere percentuali interessanti di zolfo per più di mezzo secolo. Solo nel gennaio 2020, infatti, l’Organizzazione marittima internazionale ha introdotto un limite massimo di zolfo per i combustibili impiegati per il trasporto marittimo, sia civile sia mercantile, scendendo fino alle soglie dello zero e cinque per cento, cioè cinque parti di zolfo su mille di combustibile. Inutile sottolineare che si tratta di un limite comunque altissimo rispetto a quello del gasolio per autotrazione mentre va precisato che i tempi di implementazione della direttiva variano da Paese a Paese e che ogni singola nazione può richiedere alle navi di conformarsi alle Leggi solo una volta entrate nella propria zona costiera.
Gli Stati Uniti, per esempio, dopo una ricerca che ha stimato i danni alla salute causati dal trasporto marittimo hanno esteso la propria giurisdizione fino a 230 miglia dalle proprie coste ma senza poter contrastare l’accesso ai porti statunitensi delle grandi navi da trasporto e da crociera, sempre più spesso dotate di serbatoi diversificati così da poter usare combustibili diversi a seconda dell’area di navigazione. Non è un caso quindi se secondo uno studio condotto da “Transport & Environment”, la Federazione europea per i trasporti e l’ambiente, il primo operatore globale del settore crocieristico, Carnival Corporation, emise nel 2017 circa dieci volte più ossidi di zolfo dei circa 260 milioni di automobili europee e se significative sono anche le emissioni prodotte dalla flotta di Royal Caribbean Cruises, secondo operatore al Mondo. Rispetto al medesimo parco automobilistico circolante in Europa ha emesso circa il quadruplo degli ossidi di zolfo e sempre stando a studi analoghi svolti però nel 2009 una sola delle grandi navi portacontainer inquinava l’aria tanto quanto 50 milioni di automobili.
Bastavano quindi 15 di queste grandi navi per emettere ossidi di zolfo tanto quanto l’intero parco auto globale, all’epoca rappresentato da circa 750 milioni di veicoli. A peggiorare la situazione anche il fatto che gran parte del traffico marittimo commerciale è realizzato mediante navi di medio e medio-basso tonnellaggio che utilizzano il “bunker fuel”, un olio combustibile appartenente alla categoria dei distillati pesanti ottenibili dal petrolio. Con una densità di 980 chilogrammi per metro cubo è più simile a un bitume liquido, nero e spesso, così denso da scorrere a malapena nei circuiti di alimentazione e contenente fino a duemila volte lo zolfo consentito nel carburante diesel utilizzato per i veicoli stradali.
Considerando che si stima in quasi centomila il numero di navi da carico che solcano oggi i mari è facile capire quanto l’impatto del traffico navale globale in termini di ossidi di zolfo abbia dimensioni tutt’altro che trascurabili. Diversa invece la stima delle emissioni di anidride carbonica. In tal caso il traffico navale risulta meno impattante rispetto al trasporto su strada, sia civile, sia commerciale. Sull’ammontare complessivo di emissioni la produzione di energia copre infatti il 73 e tre per cento del totale. Su questa percentuale i diversi tipi di trasporto incidono per il 16 e due per cento, con quelli su strada e via nave che contribuiscono rispettivamente per l’11 e nove e uno e sette per cento. Certamente, se almeno le grandi navi da crociera e da trasporto merci fossero sospinte da energia nucleare gran parte dei problemi emissivi sarebbero risolti, sia sul fronte dei gas serra, sia degli ossidi di zolfo e azoto.
Grandi navi in cifre
Le navi portacontainer contano su motori che possono arrivare a 110mila cavalli e a un peso di duemila e 300 tonnellate. Lunghe 400 metri e larghe 61, “Msc Irina”, “Msc Michelcappellini” ed “Msc Loreto” battono bandiera liberiana e sono al momento le tre più grandi portacontainer al Mondo. Navigano per 24 ore al giorno per un totale di circa 280 giorni l’anno e sono affiancate da circa cento mila altre grandi navi da carico ciascuna delle quali non potrebbe generare annualmente più di cinquemila tonnellate di ossido di zolfo.
Titolo: L’auto inquina, le navi di più
Autore: Redazione