Il marchio Ducati è oggi sinonimo di moto sportive mosse da unità di cilindrate e prestazioni diverse ma sempre legate a un’architettura bicilindrica a “L”. In realtà gli esordi motociclistici del Marchio si legano a un monocilindro da 48 centimetri cubi con cambio a due velocità denominato “Cucciolo” e presentato negli anni del Dopoguerra. Era perfetto per trasformare le biciclette in ciclomotori e gettò le basi per la crescita dell’azienda portandola, fra non poche traversie, a lanciare nel 1969 la mitica “450 Scrambler”, moto che inserirà definitivamente il marchio bolognese fra i più amati dai motociclisti di tutto il Mondo permettendo anche all’Azienda di impegnarsi nella progettazione e nella costruzione di quei motori bicilindrici “desmo” che oggi caratterizzano l’immagine del Marchio e dai quali deriva anche l’ultima fatica della direzione progettuale della Casa, il monocilindro “SuperQuadro Mono” derivato dal bicilindrico che equipaggiava la “1299 Panigale” costruita dal 2015 al 2018. Eliminando il cilindro orizzontale e mantenendo inalterato l’alesaggio di 116 millimetri ma portando la corsa da 60 millimetri e 8 decimi a 62 millimetri e quattro decimi, i Tecnici Ducati hanno dato vita a un monocilindro da 659 centimetri cubi caratterizzato da un alto rapporto alesaggio/corsa, un punto e 86 decimi, il valore più elevato mai visto su un monocilindrico stradale.
Tale connotazione ha ovviamente giovato al contenimento delle masse in moto alterno e in abbinamento con la già citata distribuzione desmodromica ha permesso all’unità di far salire il suo regime di massima potenza al limite dei nove mila e 750 giri in versione strada e a diecimila e 250 giri in versione racing sempre rispettando i limiti di emissione euro 5. Regimi che vedono le potenze stallare rispettivamente oltre i 77 e gli 84 cavalli. Molto contribuisce a tale possibilità la presenza di due contralberi di equilibratura, uno anteriore e uno posteriore, montati su cuscinetti a sfere all’interno del carter e comandati da ingranaggi. I contralberi svolgono anche funzione di controllo delle pompe dell’acqua e dell’olio ed essendo posti a lato dell’albero motore consentono di equilibrare completamente le forze di inerzia del primo ordine senza introdurre ulteriori forze o momenti indesiderati.
Grazie a questa soluzione il motore è capace di girare a regimi molto elevati mantenendo un livello di vibrazioni comparabile a quelle del bicilindrico originale dal quale riprende anche la camera di combustione, le valvole di aspirazione di titanio da quasi 47 millimetri di diametro, quelle di scarico di acciaio da circa 38 millimetri di diametro oltre alla distribuzione desmodromica i cui bilancieri vantano un riporto superficiale di derivazione MotoGp “Dlc”, “Diamond Like Carbon”, per ridurre l’attrito e aumentare la resistenza a fatica. Lo stesso trattamento è previsto anche sullo spinotto e sul mantello del pistone, elemento caratterizzato da uno schema “box in box” che prevede un fondello a doppia travatura per unire rigidezza e resistenza riducendo le superfici di spinta, con l’obiettivo ultimo di contenere gli attriti.
Il pistone si collega inoltre a un albero motore asimmetrico e montato su bronzine di banco differenziate per contenere le masse in gioco e opera all’interno di carter motore pressofusi integranti una camicia acqua attorno alla canna del cilindro, realizzata come sulla “1299 SuperLeggera” con alluminio anziché con acciaio a beneficio del peso e delle capacità di raffreddamento dovuta alla sottigliezza delle pareti. Questa soluzione consente inoltre il fissaggio della testa direttamente sul carter, ottenendo un motore molto più compatto a parità di rigidezza della struttura. I coperchi frizione, alternatore e testa sono realizzati per fusione in lega di magnesio, sempre per ridurre al minimo il peso del motore garantendo un’elevata resistenza meccanica. Da segnalare il rapporto di compressione superiore ai 13 punti a uno, la distribuzione controllata attraverso un sistema misto ingranaggi/catena di tipo “silent”, e l’alimentazione affidata a un corpo farfallato a sezione ovale dal diametro equivalente di 62 millimetri con iniettore sottofarfalla controllato da un sistema ride-by-wire che offre tre diverse modalità d’uso, “High”, “Medium”e “Low” per adattare l’erogazione del motore alle diverse situazioni di guida. Come accennato la lubrificazione è affidata a due pompe a lobi, una di mandata e una di recupero, collocata nel vano imbiellaggio che preleva l’olio nei vani laterali dei coperchi alternatore e frizione in modo da ridurre le perdite di attrito del lubrificante con gli organi in movimento.
Questa pompa, assieme a una valvola posta nel circuito di blow-by, porta in depressione il vano imbiellaggio come avviene nei motori da competizione, al fine di ridurre la resistenza degli organi in movimento e per assicurare un efficace recupero dell’olio di lubrificazione in qualsiasi condizione di utilizzo del motore. Di fatto un motore racing addolcito di quel tanto che basta per permettergli di affrontare anche la strada, connotazione suffragata da una frizione in bagno d’olio con comando idraulico ad asservimento progressivo caratterizzata da un carico alla leva particolarmente ridotto e sviluppata specificamente per offrire un comportamento facile e intuitivo in frenata, con la massima modulabilità allo stacco e nella gestione del freno motore per agevolare la manovra della derapata in ingresso curva. Il gruppo controlla una trasmissione a sei marce con rapportatura racing derivata dall’esperienza maturata con “Panigale V4” e quindi propone un primo rapporto è lungo per consentirne l’uso nelle curve lente, sfruttando la massima spinta disponibile. Il cambio può inoltre essere dotato del sistema Ducati “Quick Shift Up & Down” la cui funzionalità si basa su un sensore magnetico a effetto hall e non alla tradizionale cella di carico per migliorare precisione e affidabilità.
Moto Ducati, trent’anni fa il primo SuperMono
Se “450 Scrambler” fu la prima Ducati mossa da un monocilindro di elevata cubatira “SuperMono 550” fu la seconda, Una moto realizzata in tiratura limitata, si parla di 67 esemplari per permettere ai piloti privati di gareggiare nell’omonimo campionato europeo. Si era nei primi Anni 90 e anche in questo caso il motore nasceva da un bicilindrico a “L”, quello del motore “DesmoQuattro” progettato per la “851”. A differenza del mono attuale allora venne però mantenuta la canna orizzontale per avere un maggior carico sull’avantreno della moto mentre per smorzare le vibrazioni venne sfruttato il manovellismo che sul bicilindrico era azionato dal cilindro verticale ma inserendo una biella più corta di quella originale che agiva su una bielletta di bilanciamento fissata direttamente sulla parte superiore del carter. Il sistema a doppia bielletta fece soprannominare il motore “batacchio” e si rivelò molto funzionale permettendo all’unità di ruotare a oltre 11 mila giri senza dar luogo a inconvenienti. Inoltre per ridurre gli ingombri dei cuscinetti di banco e mantenerne inalterato il livello di affidabilità furono impiegati solo due supporti di banco al posto dei quattro impiegati sul bicilindrico, accorgimento che permise di limitare la larghezza del motore e di conseguenza di tutta la moto. Il motore fu installato su un telaio progettato ad ho denominata ovviamente “SuperMono 550” che nel 1993 conquistò i Campionati Italiano, Europeo e Svizzero di categoria.
Moto Ducati a confronto con il concorrente
Nella tabella a lato un raffronto fra i dati tecnici di Ducati “SuperQuadro Mono” e quelli di Ktm “690 Duke”, il mono siglato “Lc4” che fino a ieri era il “mono” di serie più potente del Mondo. Di fatto i due motori che più risultano in concorrenza fra loro. Evidenti i superiori regimi di rotazione permessi dalla distribuzione desmodromica del motore italiano, connotazione che però non si ripercuote negativamente sull’indice di sollecitazione, inferiore a quello del motore austriaco. Questi a fronte di una potenza inferiore vanta però una coppia massima superiore che all’uso dovrebbe tradursi in una elasticità superiore.
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Autore: Redazione